26 dicembre 2007

Sequestro lampo di due spagnole

Due spagnole, che lavorano con l'organizzazione umanitaria internazionale Medici senza frontiere (Msf) sono state rapite oggi nel Puntland, nel nord della Somalia. Lo hanno detto il loro autista e un funzionario locale. Il rapimento dovrebbe concludersi rapidamente dal momento che, a detta dell'ambasciatore spagnolo a Nairobi, i rapitori si sono già arresi e "stanno chiedendo che gli venga garantita l'incolumità". Le due donne rapite sono il medico spagnolo Mercedes Garc¡a e l'infermiera argentina Pilar Bouza. "Stavo portando le due donne all'ospedale locale, quando sei uomini armati di pistole si sono avvicinati, bloccando la strada", ha detto l'autista somalo, che ha chiesto l'anonimato. "Mi hanno colpito molto duramente e hanno rapito le donne portandole via con la loro automobile", ha aggiunto. Il rapimento, nel porto di Bosasso, è avvenuto due giorni dopo che un gruppo armato del Puntland ha rilasciato il giornalista francese Gwen LeGouil, rapito e tenuto in ostaggio per otto giorni per ottenere un riscatto di 80.000 dollari.

17 dicembre 2007

Rapito giornalista francese

Un giornalista televisivo francese è stato rapito ieri da sconosciuti nella città portuale di Bosaso, capitale economica di questa regione semi-autonoma e separata dal resto della Somalia (così come il Somaliland) dalla caduta del regime di Siad Barre nel 1991. Gwen Le Gouil era da un giorno in città e avrebbe dovuto girare un servizio sul traffico illegale di migranti tra la Somalia e lo Yemen per “Arte” la rete televisiva per la quale lavora. Bosaso è da tempo uno dei principali punti di passaggio del traffico clandestino di esseri umani tra il Corno d'Africa e le coste della penisola arabica.

Il Ministero degli Esteri francese ha confermato la liberazione, avvenuta oggi, di Gwen Le Gouil, il giornalista francese rapito in Somalia lo scorso 16 dicembre. Per la liberazione - precisano da Parigi - non e' stato pagato alcun riscatto. Un portavoce del Ministero ha ringraziato le autorita' regionali del Puntland, "e in particolare il presidente Mohamud Muse Hersi" per la collaborazione prestata nella liberazione di Le Gouil.

Quella strage dimenticata

Quel giorno finì l'illusione delle missioni di pace: anche gli 'italiani, brava gente' capirono che si poteva combattere. E morire. Ma quel giorno secondo molti nacque anche la prassi della diplomazia parallela in zona di guerra, ossia l'abitudine a trattare anche con chi ci spara addosso. Insomma, quel giorno a Mogadiscio cambiarono tante cose che varrebbe la pena di ricordare, studiare, analizzare. Anche per non ripetere oggi gli stessi errori in Afghanistan, in Libano o in Kosovo. Eppure è stato tutto dimenticato.Adesso History Channel ripercorre la battaglia del Check point Pasta, mettendo in evidenza con testimonianze e filmati inediti gli aspetti più controversi di quella drammatica mattina del 2 luglio 1993. Quando anche i caschi blu italiani furono costretti ad aprire il fuoco sulla folla. La ricostruzione diretta da Andrea Bettinetti andrà in onda il 21 dicembre. Sembra una replica di 'Black Hawk Down', il film sull'operazione che provocò il ritiro degli Usa dalla Somalia. Anche i nostri militari si ritrovarono intrappolati nel labirinto di Mogadiscio e dovettero lottare per portare in salvo i feriti, ben 22. Ricorda Fabio Tirollo, giovane sottotenente alla guida di un autoblindo: "Un capitano della Folgore mi puntò il mitra: 'Carica questi due parà feriti e sfonda le barricate'. Risposi che l'ordine era di non muoversi. Lui disse: 'I casi sono due: o li porti in salvo o ti sparo'". Le immagini dei due parà insanguinati hanno fatto il giro del mondo. Meno note quelle dei loro commilitoni che all'inizio degli scontri prima sparano in aria, poi abbassano il tiro fino ad altezza d'uomo. Con lo stupore per quella battaglia imprevista. L'Espresso

11 dicembre 2007

Espulsi ventiquattro giornalisti

“Le autorità hanno posticipato di cinque giorni la nostra espulsione, dopo averci detto in un primo momento che dovevamo andarcene entro 24 ore. Adesso siamo ancora ad Hargeisa (capitale del Somaliland, ndr) ma il provvedimento resta attivo”. Lo ha detto alla MISNA uno dei 24 giornalisti su cui pende un decreto di allontanamento emesso dal governo del Somaliland, regione semiautonoma del nord della Somalia, in cui i cronisti avevano cercato riparo dopo essere sfuggiti alle violenze e alle minacce subite nella capitale. “Per molti di noi, tornare a Mogadiscio in questo momento comporta altissimi rischi” ha aggiunto l’uomo, chiedendo di rimanere anonimo per questioni di sicurezza. L’Unione nazionale dei giornalisti somali (Nusoj) ha criticato le autorità del Somaliland, che si sono giustificate con il fatto che “i giornalisti in questione mettevano a rischio la stabilità del Somaliland”. Condanne in proposito sono state espresse anche dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), con sede a New York, che ha ricordato che “se il Somaliland vuole diventare un territorio autonomo riconosciuto dalla comunità internazionale, deve aderire ai principi di protezione e salvaguardia dei diritti umani”. Il Cpj accusa inoltre il Somaliland di aver “punito” i giornalisti espulsi, per aver riportato notizie delle violenze commesse dalle truppe etiopi presenti sul territorio somalo in sostegno al governo di transizione di Mogadiscio, mettendo a rischio le ottime relazioni che il Somaliland intrattiene con Addis Abeba. La Somalia, le cui autorità hanno imposto di recente una forte stretta agli organi di stampa, ha assistito nel 2007 all’assassinio di 8 giornalisti, diventando secondo le associazioni per la libertà di stampa “la regione più pericolosa per gli operatori dell’informazione dopo l’Iraq”. Nelle scorse settimane, il sindaco di Mogadiscio, Mohammed Dhere, ha diffuso un “regolamento” per i media che proibisce di riferire, senza permesso, dei combattimenti e delle operazioni militari in corso nella capitale somala o di intervistare esponenti dell’opposizione al governo.

04 dicembre 2007

Le suore costrette a fuggire

“La situazione è così difficile che non posso dire quando e se torneremo”: così, in una nota giunta oggi alla Misna, Ahmed Ibrahim, direttore del Villaggio per bambini ‘Sos Children’, annuncia la chiusura temporanea del complesso, un villaggio e un ospedale pediatrico, situato nella zona nord di Mogadiscio, colpito ieri, ancora una volta, dai bombardamenti delle forze governative. Le famiglie che vivevano all’interno della struttura, gestita per anni dalle suore missionarie della Consolata, hanno cominciato a lasciare oggi il ‘villaggio’ dopo che i “massicci bombardamenti” hanno causato la morte di una donna e il ferimento, grave, di altre quattro persone, inclusi tre operatori che lavoravano all’ospedale. Misna



Le ho conosciute, sono entrato in quell'ospedale pieno di donne e bambini, ho visto quanto erano amate e soprattutto quanto erano utili. Perdere loro significa per la Somalia un altro grande passo indietro sulla strada della speranza. Un brutto colpo per chi ancora crede nella pace. Se sono costrette a fuggire loro, eroine coraggiose, significa che non ci sono più margini per vivere civilmente. Dentro l'ospedale somalo

03 dicembre 2007

Giornalisti tra due fuochi


Oggi, l'Unione Nazionale dei Giornalisti Somali ha rivolto al nuovo premier, Nur Adde, un appello perché tuteli l'attività dei reporter somali. Dall'inizio dell'anno, sono otto i giornalisti somali uccisi mentre svolgevano il loro lavoro. Un numero che, secondo i dati di Reporter Senza Frontiere, fa della Somalia il secondo Paese più pericoloso al mondo per i giornalisti, dopo l'Iraq. E per gli otto che sono morti, decine di altri sono dovuti fuggire a causa delle minacce, mentre emittenti radiofoniche e testate vengono periodicamente chiuse dalle autorità. PeaceReporter pubblica le testimonianze di tre giornalisti somali, contattati durante un reportage del nostro inviato in Kenya e Somalia.

Ilaria Alpi, le indagini proseguono

Sull'omicidio di Ilaria Alpi non cala il sipario. Il giudice dell'udienza preliminare, Emanuele Cersosimo, ha infatti respinto la richiesta con la quale la Procura della Repubblica di Roma aveva chiesto l'archiviazione del procedimento riguardante la morte della giornalista della Rai uccisa in Somalia. La decisione è stata presa in accoglimento dell'opposizione fatta dai genitori di Ilaria Alpi, assistiti dall'avvocato D'Amati. Questi avevano sollecitato lo svolgimento di ulteriori accertamenti anche sulla base degli elementi raccolti dalla commissione parlamentare d'inchiesta. Concessi altri sei mesi di tempo per ulteriori indagini. Secondo il gip , Alpi e Hrovatin, alla luce degli elementi emersi, potrebbero essere stati uccisi per impedire che le notizie da loro raccolte «sui traffici di armi e di rifiuti tossici avvenuti tra l'Italia e la Somalia venissero a conoscenza dell'opinione pubblica italiana»

29 novembre 2007

Tentare la strada del dialogo

Sicurezza nazionale, soluzione dei conflitti, assistenza umanitaria, il tutto privilegiando la strada del dialogo con l'opposizione: queste le chiavi di volta della strategia del nuovo primo ministro somalo, Nur Hassan Hussein, noto come Nur Adde. "Bisogna tener conto - spiega in un'intervista esclusiva concessa all'Ansa (il dialogo si è svolto in italiano) nella sua residenza di Baidoa, 245 km a nord ovest di Mogadiscio - che siamo in guerra civile da oltre 17 anni, da quando fu rovesciato Siad Barre.

Una guerra che ha distrutto tutto, fino al punto di annichilire anche i valori morali. Ed è forse proprio dalla ricostruzione di questi ultimi, dalle fondamenta civili, insomma, che bisogna ripartire". Quanto alla strada maestra, il premier è preciso: "Inseguire con ogni mezzo quanto possa aiutare la pacificazione, scegliendo il dialogo e sperando che ci porti ad una soluzione; ma tutto ciò nell'ambito del ristabilimento di ordine e sicurezza che consenta la soluzione dei conflitti. Ma, ripeto, contiamo di arrivarci col dialogo, di raggiungere così la sicurezza nazionale, l'accesso agli aiuti umanitari, e la soluzione dei problemi più urgenti. Certo, la loro stratificazione dovuta a 17 anni di guerra civile è enorme". -Ma ciò significa che intende dialogare anche con i terroristi islamici che sembrano sempre più presenti e forti a Mogadiscio? "La parola terroristi non mi appartiene: io parlo di opposizione e di insorti. E con loro le porte del dialogo sono aperte: i somali sono somali, e tutti quelli che vogliono il bene della Somalia saranno i benvenuti, non escluderemo nessuno, le nostre porte saranno sempre aperte".

Qualche piccola perplessità, poi, da parte di Nur Adde sull'attuale ruolo dell'Italia rispetto ai problemi somali: "Certo -dice- il ruolo svolto dall'Italia è stato molto utile, però occorre che si facciano passi in avanti. Ciò anche considerando il livello delle attese della Somalia dati gli storici e stretti vincoli di amicizia e collaborazione che hanno legato i nostri due Paesi per lunghissimi anni. Insomma, penso che l'Italia debba fare un ulteriore sforzo per rilanciare il suo ruolo così come si attendono governo e popolo somalo. Peraltro -aggiunge- ho appena ricevuto una lettera di Romano Prodi che mi dà speranze in tal senso". L'intervista finisce quando Nur Adde è informato che il presidente, Abdullahi Yusuf, che lo ha incaricato lo scorso 21 novembre, dopo un lungo braccio di ferro col predecessore, Ali Gedi, lo attende. Bisogna mettere a punto la lista del governo: non sarà facile, anche se è prevista in settimana. Poi, presumibilmente, un nuovo plebiscito del parlamento, cone quello che ha approvato l'investitura del nuovo premier. Ma, infine, la sostanza non cambia.

Le nobili dichiarazioni del premier appaiono un po' come la famosa frase di Martin Luther King: 'I have a dream''. Sì, un bel sogno. Perché la realtà è che Baidoa - già bellissima città, quasi completamente distrutta da numerosi conflitti di cui è stata epicentro - appare in stato d'assedio. Enorme il numero dei soldati schierati lungo le strade, anche molti etiopici; check point ogni dieci metri, e malgrado ciò non rari gli attacchi contro i posti di polizia. A Baidoa, peraltro, anche se sempre rimasta la sede del Parlamento etiopico, ora sono tornati presidente e premier, costretti alla fuga dai combattimenti a Mogadiscio. E la gente comune, disperata, ha poche speranze che il nuovo primo ministro possa davvero cambiare la situazione, tragica, e che si fa sempre più pesante anche per Baidoa.

A tutti appare chiaro che chi ha nelle mani le chiavi del potere resta il presidente, e con lui difficilmente cambiamenti morbidi potranno avvenire. Questa, almeno, la sensazione che si può avere bevendo con altri avventori un buon espresso sulla main road di Baidoa, piena ancora di scritte in italiano: come 'gommista' o 'ricambi auto Torino'. Mentre la situazione umanitaria è drammatica. Oltre quindicimila i profughi censiti 'ufficialmente' nei campi di raccolta. Ma in generale circa 40.000. Operano sette agenzie umanitarie Onu, e quattro Ong. La principale, la Caritas, ha un piccolo ospedale dove riesce ad effettuare 120 consultazioni al giorno, oltre a una quarantina di piccoli interventi. La gente si mette in fila la notte, dice uno dei responsabili del centro, diamo loro qualcosa su cui riposare, e per proteggersi dalla pioggia. Ma quello che possiamo fare è poco: non ci sono ospedali, il più vicino è a Mogadiscio: arrivarci quasi impossibile, ed i nosocomi sono pieni.

23 novembre 2007

L'inferno Mogadiscio


Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaeda in Africa, la Somalia precipita sempre di più nel dramma. Una settimana fa, infatti, dall'Etiopia sono arrivati altri 20 mila uomini e 52 carri armati con un ordine semplice: fare una strage. Comincia da qui il viaggio nell'inferno della Somalia, paese senza pace, dove centinaia di conflitti sono stati coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni. I militari del presidente provvisorio sono alla fame, i civili allo stremo (quattromila i morti nel 2007): donne, bambini e vecchi scappano a piedi. Un popolo in fuga dalla capitale e che si rifugia nelle tendopoli. Sperando nell'aiuto della Comunità internazionale. Repubblica.it Le foto

Un popolo in fuga


La Somalia è di nuovo sconvolta da una catastrofe umanitaria. Mentre le forze governative, appoggiate da reparti dell’esercito etiopico, stanno rastrellando interi quartieri della capitale per snidare gli insorti che ancora vi sono asserragliati, da quattro giorni è cominciato un esodo biblico. Il mercato di Bakara, il cuore di Mogadiscio una volta affollatissimo dove gli insorti hanno tenuto le loro posizioni fino a ieri mattina, nel pomeriggio era deserto. Negozi chiusi e bancarelle distrutte dalla battaglia. Palazzine con i muri crivellati dai proiettili. Per strada solo qualche carretto carico di vettovaglie spinto a mano da intere famiglie che abbandonano la capitale. Corriere.it

01 novembre 2007

Vivere sotto le bombe


Mogadiscio, oggi.

Ancora i pirati in azione


Pirati all'abbordaggio, equipaggi che si ribellano e respingono i corsari, unità dell'Us Navy in azione per fermare gli assalti. Le acque al largo della Somalia sono sempre più insicure: almeno 4 mercantili sono stati catturati dalle bande di pirati, armati di fucili e lanciagranate, che partono dalla costa a bordo di veloci motoscafi. Drammatici gli ultimi sviluppi. Una nave nord coreana che trasportava zucchero è stata intercettata da una piccola gang di corsari a bordo di alcune battelli a motore. Otto banditi sono saliti a bordo ma sono stati sopraffatti dall'equipaggio – 22 uomini – e respinti. Il comandante ha quindi ripreso la rotta, dirigendosi verso il porto di Mogadiscio. Spesso per difendersi, i marinai utilizzano potenti idranti "sparati" contro i corsari.Poche ore prima un portacontainer giapponese, il Golden Mori, è stato intercettato da uno "sciame" di motoscafi pirati al largo di Socotra. Il capitano ha lanciato un messaggio di soccorso raccolto da una nave della Marina Usa in servizio nella zona. La "Uss Porter" è intervenuta aprendo il fuoco: almeno due battelli pirati sarebbero stati affondati. Malgrado l'azione dell'unità americana, i corsari sono riusciti a fuggire dirottando il portacontainer verso un loro covo. Una seconda nave statunitense, la "Burke", è stata autorizzata dalle autorità di Mogadiscio a entrare nelle acque territoriali per inseguire i pirati. Un recente rapporto ha rivelato un incremento degli abbordaggi al largo della Somalia: si è passati da otto assalti a ventisei. Secondo informazioni di intelligence nella zona operano almeno cinque bande di corsari che sono cresciute in uomini e mezzi grazie alla situazione di instabilità in Somalia. I banditi vanno a caccia dei mercantili che si avvicinano alle coste o ai cargo che trasportano aiuti umanitari verso Mogadiscio. Le "prede" vengono rilasciate solo dopo il pagamento di un congruo riscatto. In seguito al ripetersi delle scorrerie, il "World Food Program" ha dovuto sospendere l’invio di derrate alimentari verso la Somalia. Corriere.it

22 ottobre 2007

Ucciso il direttore di radio Shabelle

Bashir Nur Gedi, direttore dell'emittente radiofonica somala Shabelle, è stato ucciso da uomini armati non identificati nella capitale Mogadiscio. Gedi è l'ottavo giornalista somalo a perdere la vita quest'anno, facendo della Somalia il posto più pericoloso al mondo, dopo l'Iraq, per i giornalisti. Lo scorso agosto, due colleghi dell'emittente HornAfrik erano stati uccisi a distanza di due giorni l'uno dall'altro, sempre a Mogadiscio. La guerra civile in Somalia, scoppiata nel 1991 e i cui strascichi continuano ancora oggi, ha provocato finora almeno mezzo milione di morti.

11 ottobre 2007

Attaccata una radio

Soldati dell'esercito governativo somalo hanno fatto irruzione stamane nella sede della stazione radiofonica Simba Radio a Mogadiscio, arrestando il caporedattore Abdullah Ali Farak e un giornalista. A motivare dell'attacco un'intervista, trasmessa ieri sera, al comandante dei ribelli islamici sceicco Mukhtar Robow, che ha dichiarato di essere l'organizzatore di un attacco suicida contro una base dell'esercito etiope in Somalia, vicino all'albergo che ospitava il Primo ministro Ali Mohamed Gedi. Lo sceicco, conosciuto anche con il nome di Abu Mansur dopo la sua militanza nei Talebani afghani all'inizio degli anni 2000, è stato a capo di numerosi gruppi di miliziani nell'ultimo decennio.

Un'altra strage di militari

Un camioncino con a bordo un kamikaze (probabilmente straniero) è saltato in aria a Baidoa, sede del parlamento somalo, nella base dei soldati etiopici alleati del governo, di fronte all’hotel Baikin. Non è ancora chiaro il numero dei morti. Fonti ufficiali affermano che hanno perso la vita solo tre etiopi, ma testimoni contattati dal Corriere sostengono che c’è stata una strage e i morti sarebbero decine: «Abbiamo visto parecchi corpi bruciacchiati accasciati al suolo». L’attentatore ha seguito una colonna di militari e, nel momento in cui questi sono entrati nella loro quartier generale, ha cercato di intrufolarvisi. Le sentinelle non si sono fatte sorprendere e hanno sparato contro l’auto dell’intruso che prima di schiantarsi sul muro di cinta si è fatto esplodere. La base è la più grande organizzata in Somalia dall’esercito etiopico, entrato nel Paese per aiutare il Governo Federale di Transizione alla fine dello scorso dicembre. Dista cento metri dall’abitazione del primo ministro Ali Mohammed Gedi. Un agente dell’intelligence somala, contattato al telefono a Baidoa, ha mantenuto un basso profilo raccontando che «solo due soldati etiopici sono stati feriti. Avevamo già saputo che si stava organizzando un attentato – ha aggiunto - per questo avevamo allertato tutti. E per questo l’attentato non è andato a buon fine. Poteva essere una strage». A Baidoa è stato imposto il coprifuoco. Migliaia di militari stanno presidiando le strade della città alla ricerca delle cellule islamiche. Per altro gli integralisti hanno annunciato per la fine del ramadam (venerdì è ultimo giorno) una campagna di attentati contro gli “invasori” etiopici e i somali collaborazionisti. Ogni giorno a Mogadiscio c’è almeno un omicidio politico. Il mercato di Bakara, il più grande della capitale, è ormai sotto il controllo degli insorti. Mercoledì mattina sono stati visti miliziani ribelli distribuire pistole ai ragazzini per sparare agli agenti di polizia che tentano di riprendere il dominio sulla zona. Tutto questo accade mentre c’è una crisi politica profonda: il presidente Abdullahi Yusuf e il primo ministro Ali Mohammed Gedi sono ai ferri corti e la maggioranza dei ministri, 22 su 32, , d’accordo con il Capo dello Stato, vuole sbarazzarsi del premier. Infine il governo ha ordinato alle società che gestiscono i telefoni cellulari (in Somalia ce ne sono quattro) di tagliare le linee a coloro che comunicano mascherando il loro numero. Telefonate di minaccia sono ormai la consuetudine in Somalia. Gli americani sembra che stiano preparando una nuova offensiva: un gruppo di marines (una quindicina) si è intanto stabilito nella base aerea di Balidogle, a sud ovest di Mogadiscio, mentre un secondo si è piazzato a Galkayo, nel nord della Somalia. Le due basi statunitensi ufficialmente servono come centri di addestramento di unità somale da impiegare nella lotta al terrorismo e ai militanti di Al Qaeda che hanno organizzato santuari nell’ex colonia italiana. Corriere.it

01 ottobre 2007

Attentato a "Kunai"

Due persone armate, non meglio identificate, avrebbero cercato di uccidere il giornalista Jafaar Mohammed ‘Kunai’, direttore responsabile dell’emittente somala Radio Shabelle, obiettivo di un attacco nei giorni scorsi da parte delle truppe governative e costretta a interrompere le trasmissioni. Il tentato omicidio, secondo un comunicato diffuso da Reporters Sans Frontieres, avvenuto il 24 settembre nel centro di Mogadiscio, sarebbe andato a vuoto, e gli assassini sarebbero riusciti a scappare. “Presi nel fuoco incrociato degli assassini mirati e degli arresti arbitrari, i giornalisti somali hanno raggiunto condizioni critiche, che mettono a rischio l’esistenza stessa di un’informazione indipendente nel paese” recita il documento, denunciando il clima di persecuzione a cui sono sottoposti, oltre che a Mogadiscio anche nel Puntland e nel Somaliland, regioni semiautonome del nord, e nell’Hiran, nel sud, molti operatori della stampa indipendente. Tre di essi sarebbero stati arrestati dopo aver scattato fotografie dei combattimenti in corso tra l’esercito del Somaliland e milizie dissidenti. Contro la chiusura di Radio Shabelle, e la persecuzione della stampa libera, l’Ue ha presentato la scorsa settimana una protesta indirizzata al governo di transizione somalo, mentre denuncie analoghe sono state espresse da alti funzionari Onu. Le autorità di Mogadiscio hanno affermato che sono in corso indagini sull’accaduto.

22 settembre 2007

Chiude anche radio Shabelle

L’emittente indipendente somala ‘Radio Shabelle’ ha pubblicato oggi sul suo sito web un comunicato in cui denuncia la chiusura delle trasmissioni dopo il violento attacco subito nei giorni scorsi dalle forze armate del governo di transizione di Mogadiscio, che ha distrutto gran parte delle sue attrezzature. “E’ con tristezza che annunciamo la sospensione delle attività – recita il documento – poiché i colpi d’arma da fuoco sparati per oltre due ore e mezza contro i nostri uffici hanno provocato danni incalcolabili che ci impediscono di continuare ad operare”. L’attacco, definito dal direttore di Shabelle, Yusuf Mahmoud Abdimaaliki, “un attentato alla libertà di informazione nel paese”, è solo l’ultimo dei pericoli che “continuamente minacciano le nostre strutture e la vita dei nostri giornalisti”. Secondo Abdimaaliki, durante l’assedio di ieri alla redazione, gli oltre 30 tra giornalisti e membri dello staff presenti, si sono nascosti sotto i tavoli per sfuggire ai proiettili che entravano dalle finestre e le porte. Ancora uno dei tecnici della stazione radio sarebbe intrappolato nell’immobile circondato dall’esercito. “Facciamo appello ai giornalisti locali ed internazionali perché esercitino pressioni sul governo somalo al fine di far evacuare completamente lo stabile e garantire la libertà di espressione e informazione in Somalia”. Di fatto nelle ultime 24 ore l’emittente non ha effettuato alcuna trasmissione.

10 settembre 2007

Ancora morti tra i civili

Una madre e i suoi tre bambini sono stati uccisi la scorsa notte a Mogadiscio da un colpo di mortaio esploso sulla loro casa e lanciato dagli insorti somali. Lo affermano testimoni. L'attacco, destinato verosimilmente al palazzo presidenziale, ha mancato l'obiettivo ed e' caduto nel quartiere di Wardhigley, ha spiegato all'Afp un capo locale, Hussein Adan Luqman. "Tre colpi di mortaio sono caduti nel nostro quartiere: uno ha colpito un'abitazione, uccidendo quattro persone", ha aggiunto. "Penso che volessero colpire il palazzo presidenziale che non e' molto lontano", ha aggiunto ancora. Secondo un altro abitante del quartiere, Farah Mohamed Sahal, anche otto civili sono rimasti feriti dall'esplosione. Stando sempre a testimoni locali, altri quattro civili sono rimasti feriti nel quartiere di Gupta, nel nord della citta', quando le truppe etiopiche hanno risposto ad un attacco di mortaio. "Le due parti in lotta mancano i loro obiettivi e colpiscono le zone civli", ha commentato un abitante, Mohamed Ali. Le forze governative somale, sostenute dai loro alleati etiopici e la forza di pace dell'Unione africana non riescono a far cessare la guerriglia condotta dagli insorti, fra le cui fila sono inquadrati i militanti islamici cacciati da Mogadiscio otto mesi fa. Fino ad oggi, tutti i tentativi di porre fine alla guerra civile somala, iniziata nel 1991, sono falliti.

La vita continua, nonostante tutto



Un pescatore somalo ritorna sulla spiaggia dopo aver preso un pescespada.

05 settembre 2007

Giornalisti in fuga da Mogadiscio

Il sindacato nazionale dei giornalisti Somali (Nusoj) ha lanciato l’allarme contro “l’ondata di terrore” che ha costretto numerosi giornalisti a fuggire da Mogadiscio e cercare riparo nei paesi circostanti. Secondo la nota, almeno una trentina di giornalisti ha lasciato negli ultimi giorni la capitale somala dopo aver ricevuto ripetute e realistiche minacce di morte. Almeno una decina di questi, però, si troverebbero bloccati alla frontiera con il Kenya, chiusa dallo scorso dicembre, da quando cioè sono iniziate le operazioni militari etiopi che hanno portato alla cacciata delle Corti Islamiche e all’insediamento nel paese del governo federale di transizione. "Chiediamo al governo di transizione di aiutare questi giornalisti ad entrare in Kenya e chiediamo alla comunità internazionale di prestare attenzione anche a questo aspetto della grave crisi umanitaria che investe il paese” scrive in una nota Omar Faruk Osman, segretario generale del sindacato, il quale, rivolgendosi al Kenya, ricorda come Nairobi abbia “un obbligo internazionale nell’aprire le sue porte ai civili in fuga e permettere loro si restare nel loro territorio in maniera legale”. La situazione, aggiunge Faruk Osman, “prova quanto sia diventato pericoloso fare il giornalista in Somalia”, per questo “chiediamo alla comunità internazionale di fornire aiuto umanitario a questi giornalisti in fuga”. Dall’inizio del 2007 sono sette i giornalisti somali assassinati.

26 agosto 2007

Ucciso un altro reporter



Un altro giornalista somalo è stato ucciso oggi in circostanze ancora da chiarire. La Misna lo ha appreso da fonti locali, le quali precisano che Abdulkadir Mahad Moallim Kaskey, corrispondente dalla provincia sud-occidentale di Gedo per Radio Banadir, è morto questa mattina presto nel villaggio di El Ilan, quando uomini armati non identificati hanno aperto il fuoco contro il minibus su cui viaggiava il giornalista. Nell’attacco anche un altro passeggero sarebbe rimasto ferito. Abdulkadir era anche un membro del principale sindacato dei giornalisti somali, Nusoj, il cui segretario, Omar Faruk Osman, oggi ha denunciato l’omicidio, definendo l’attacco “un atto organizzato”. Faruk ha chiesto alla comunità internazionale di “condurre indagini internazionalI sulla recente ondata di uccisioni di giornalisti” in Somalia. Abdulkadir è il terzo giornalista ucciso in Somalia nelle ultime due settimane, mentre molti altri professionisti dell’informazione nel paese continuano a ricevere minacce di morte.

Sono andato a visitare due radio locali che hanno anche siti internet. Shebele e Benadir. Ho visitato i loro studi. Ho parlato a lungo con i direttori. Erano onorati di ricevere ospiti italiani. In Somalia c’e’ ancora, effettivamente, molta voglia d’Italia. Gli ho chiesto come si puo’ fare il giornalista qui. Hanno risposto sicuri, tracciando programmi e progetti. Ma poi ho chiesto ancora: ma si puo’ essere liberi a fare i giornalisti in Somalia? Non hanno capito la domanda, e mi hanno offerto cocacola. Mogadiscio, dicembre 2003

12 agosto 2007

Assassinato l'ultimo giornalista libero


Ali Iman Sharmarke, uno dei più raffinati intellettuali somali, comproprietario e direttore della stazione radiotelevisiva Horn Afrik, è stato assassinato a Mogadiscio ieri mattina mentre rientrava dal funerale di un altro giornalista ammazzato poche ore prima, Mahad Ahmed Elmi, direttore di Radio Capital. Sharmarke aveva appena finitol’orazione funebre,una durissima requisitoria contro la violenza politica che sta sconvolgendo Mogadiscio: «L’assassinio – aveva detto – è stato organizzato per bloccare una voce libera e indipendente che ha descritto le sofferenze della gente di Mogadiscio e le ha fatte conoscere al mondo. Elmi era un simbolo di neutralità. I killer saranno individuati e assicurati alla giustizia». A questo punto il direttore di Horn Afrikè risalito in auto con una delle sue croniste più brave, Falastin Ahmed. L’assassino era in agguato e ha fatto detonare la mina telecomandata al momento in cui l’auto di Sharmarke vi passava sopra. Il direttore di Horn Afrik è stato colpito in pieno dalle schegge ed è morto quasi subito. Falastin è stata leggermente ferita (…) Ali Iman Shermarke era cittadino canadese, ma nove anni fa era tornato nella sua Mogadiscio per installare la prima radio e televisione libera del Paese. (…)Molti lo indicavano come un buon futuro leader per un Paese stretto tra i vecchi politici laici, ereditati dai tempi di Siad Barre ma ancora sul palcoscenico somalo, e i nuovi giovani rampanti islamici. Corriere.it
Ad aprile avevamo pubblicato un'intervista ad Ali Iman Sharmarke

19 luglio 2007

Uccisi mentre giocavano a pallone

Cinque adolescenti – tre fratelli e due loro amici secondo alcuni testimoni – sarebbero rimasti uccisi oggi quando colpi di mortaio hanno colpito una zona densamente abitata della capitale Mogadiscio non lontana dal centro. La MISNA lo ha appreso da fonti di Radio Shabelle. Abdiwahab Ogli, un abitante della zona, ha detto all’emittente che i cinque ragazzi – tre fratelli e due loro amici - sarebbero morti mentre giocavano a calcio nel quartiere di Shibis, non lontano dalla sede dove stamani si è aperta la Conferenza di pace, che poi è stata aggiornata dopo qualche ora. Fonti locali contattate dalla MISNA confermano che numerosi colpi di obice sono state sparati in queste ore. Ali Mohalim Mohamed, direttore amministrativo dell’ospedale Medina di Mogadiscio, ha detto alla MISNA che da stamani sono stati ricoverati 15 feriti, tra cui una bambina di un anno e mezzo; tra loro, 5 sono particolarmente gravi. Altre quattro persone sono rimaste coinvolte nell’esplosione di due granate contro una postazione delle milizie governative nel quartiere di Bar Ubah. Altre fonti contattate per telefono a Mogadiscio riferiscono che centinaia di civili hanno iniziato ad abbandonare la zona abitata intorno al mercato di Bakara, dove da ieri sera sono in corso violenti combattimenti tra le milizie governative e gruppi armati considerati vicini alle Corti islamiche ma composti anche da diversi clan contrari al governo. Il rischio è quello di un nuovo esodo di civili dopo gli scontri violenti dei mesi scorsi che provocarono – secondo l’Onu – oltre 300.000 sfollati.

11 luglio 2007

Chiusa l'inchiesta su Ilaria Alpi

La Procura di Roma ha chiesto l'archiviazione dell'ultima inchiesta sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto il 20 marzo del '94, a Mogadiscio. In base all'atto firmato dal neo procuratore aggiunto Franco Ionta non e' possibile accertare altre responsabilita' penali oltre a quelle di chi e' stato giudicato. E cioe' il miliziano somalo Hashi Omar Hassan, condannato a 26 anni di reclusione per il delitto. I genitori di Ilaria: “Siamo offesi, delusi e amareggiati”.

09 luglio 2007

Ritorno in Somalia


Mogadiscio. In viaggio da Nairobi a Mogadiscio per consegnare quasi tre tonnellate di farmaci all'ospedale pediatrico "Sos Ogeiysiis" che non ha mai cessato di curare donne e bambini nei sedici anni di guerra civile in Somalia. I medicinali sono stati raccolti dal Cesvi e dall'associazione "Ilaria Alpi". Fuori di qui suor Leonella Sgarbati fu uccisa, lo scorso 17 settembre. Poca la gente che circola per le strade della capitale. Gli sfollati sono centinaia di migliaia, i campi profughi punteggiano ai lati delle strade. Estenuanti le file per approvigionarsi d'acqua, i mercati sono gli unici posti frequentati. Per questo sono nel mirino dei terroristi, che, con le loro bombe nascoste tra i rifiuti, uccidono donne intente a fare le loro misere compere. Ma sotto tiro ci sono anche gli esponenti del governo sostenuto dagli etiopi. "La situazione dell'ordine pubblico a Mogadiscio sta migliorando moltissimo, giorno dopo giorno" dice il ministro dell'Interno Mohamed Mohamud Guled . Le dichiarazioni del ministro stridono, però, con la realtà dei fatti. La nostra visita continua, impossibili le condizioni igieniche del macello, una bomba batteriologica che rischia di infettare tutta la città. Per la prima volta una telecamera entra nel carcere di Mogadiscio, costruito nel 1910 dagli italiani. Poteva ospitare fino a 1800 detenuti, oggi, invece, i carcerati ospitati sono 188 complessivamente. Qualche detenuto cerca di parlarci, ma una porta d'acciaio si chiude inesorabile. Enzo Nucci Tg1 Nell’inferno di Mogadiscio

21 maggio 2007

Ora anche gli attentati

Attacco in stile iracheno (è la prima volta) a Mogadiscio. Una bomba telecomandata è scoppiata al passaggio di un convoglio di militari ugandesi che partecipano alla missione di pace dell’Unione africana (Amisom, African Mission to Somalia). Secondo le prime scarne informazioni un veicolo carico di soldati è saltato in aria ed è stato quasi disintegrato, quattro o cinque peacekeepers sono morti e altrettanti feriti. L’attentato, che sembra segnare comunque un salto di qualità, è avvenuto nel quartiere storico e antico di Mogadiscio, Hamar Wein, ormai ridotto da anni di guerra civile a un cumulo di macerie, tra i resti di quello che era il palazzo in stile moresco dell’hotel Uruba e il fu ministero di finanze. L’esplosione è stata così violenta che il boato si è sentito in quasi tutti i quartieri della capitale.

10 maggio 2007

Ucciso giornalista

Il giornalista Mohammed Abdullahi Khalif, che collaborava per la stazione radio Voice de Galkayo, è stato ucciso nella regione del Puntland (nord-est del Paese). Il giornalista si trovava presso un mercato dove si vendono armi per un reportage quando un gruppo di militari è penetrato nel mercato pare per recuperare un'arma rubata alla polizia. Nello scontro a fuoco che è seguito il giornalista è stato raggiunto da un colpo di fucile ed è morto sul colpo. Omar Faruk Osman, segretario generale della National Union of Somali Journalist ha dichiarato che si è trattato di una "tragedia che mostra a che punto la sicurezza dei giornalisti somali sia in pericolo". Mohammed Abdullahi Khalif è il secondo giornalista ucciso nel 2007 in Somalia. Nel febbraio scorso Ali Mohammed Omar, presentatore di Radio Warsan era stato assassinato nell città di Baidoa.

Sequestrati due operatori umanitari

Nairobi, 10 mag. (Ap) - Due operatori umanitari dell'organizzazione non governativa Care International, uno di nazionalità kenyana e l'altro irlandese, sono stati rapiti in Somalia. Il sequestro è avvenuto nella regione semiautonoma di Puntland.Beatrice Spadacini, portavoce dell'ufficio regionale dell'ong a Nairobi, ha dichiarato che il sequestro è avvenuto ieri mattina nella regione nordorientale del Paese africano, relativamente tranquilla. Ha aggiunto che non è chiaro chi siano gli autori e i moventi, "ma siamo fiduciosi che la situazione possa essere presto risolta". Spadacini ha dichiarato che Care sta "lavorando con l'autorità locale e gli anziani, che hanno affermato che ci sarà presto una soluzione". La portavoce non ha rivelato l'identità dei due operatori, che stavano valutando un progetto per l'ong.Fa parte di Care International anche Clementina Cantoni, la cooperante italiana sequestrata in Afghanistan il 16 maggio 2005 e rilasciata il 9 giugno 2005. Fu invece uccisa poco meno di un mese dopo il suo rapimento Margaret Hassan, direttrice delle operazioni di Care International in Iraq presa in ostaggio il 19 ottobre 2004.

24 aprile 2007

Un inferno anche per i reporter

Mogadiscio è un inferno. I tentativi di tregua tra il clan Hawiye, che controlla la città, e le forze del governo somalo di transizione svaniscono dopo pochi giorni: come sempre riprendono i combattimenti e si contano solo i cadaveri. “Sei colpi di granata non sono una casualità” dichiara Ali Iman Sharmarke, direttore dell'emittente televisiva HornAfrik, la cui sede è stata colpita sabato scorso da diverse granate. L'esplosione avrebbe danneggiato, oltre al parcheggio e a una cisterna d'acqua, l'antenna dell'emittente e quattro persone dello staff sono rimaste seriamente ferite, tanto da dover essere trasportate d'urgenza in aereo verso il Kenya per ricevere cure adeguate. Sharmarke rincara le accuse aggiungendo che “vi è la possibilità che l'intento delle truppe etiopi e del governo di transizione somalo fosse quello di negare al nostro pubblico internazionale la possibilità di vedere cosa sta accadendo in Somalia”. L'emittente era stata più volte criticata da autorità del governo e il fatto che membri dello staff facciano parte del clan Hawiye, il più potente in Mogadiscio, non ha certo migliorato la situazione. Sharmarke ha specificato: “Non possiamo negare il fatto che apparteniamo al clan Hawiye, ma questo non interferisce con il nostro lavoro giornalistico e sfido chiunque a trovare comportamenti o notizie che non seguano gli standard di professionalità e di etica lavorativa”. Non si tratterebbe del primo caso di intervento del governo nelle faccende mediatiche: dal dicembre scorso, ovvero dall'invasione delle truppe etiopi nel paese per scacciare il precedente governo delle Corti Islamiche, sono state molte le piccole emittenti locali costrette a chiudere. Il mese scorso il canale arabo al-Jazeera è stato costretto a sospendere le trasmissioni per non fomentare ulteriormente, secondo le accuse, la resistenza islamica a Mogadiscio. Il direttore di HornAfrik ha aggiunto: “Non tollerano che la Somalia abbia una libera informazione”. Le trasmissioni dovrebbero riprendere oggi, “sempre che non ci bombardino di nuovo”, conclude Sharmarke. Federico Frigerio PeaceReporter

20 aprile 2007

Mogadiscio, la città fantasma


Mogadiscio - Circa 100.000 nuovi sfollati in fuga da Mogadiscio si troverebbero senza alcuna assistenza, secondo quanto riferito da Laroche, che ha accusato il governo di transizione somalo e le truppe etiopi di non collaborare nell'assistenza alla popolazione: lo scorso 7 aprile, anzi, un convoglio umanitario composto da 40 camion sarebbe stato bloccato a pochi km da Mogadiscio e costretto a tornare indietro. Mentre nelle città meridionali, come Kismayo e Baidoa, le Nazioni Unite sono riuscite a organizzare alcune basi da cui dare assistenza ai civili, Mogadiscio rimane isolata, intrappolata nella morsa della violenza. I circa 1.500 berretti verdi dell'Unione Africana, avanguardia di una missione di peacekeeping che dovrebbe arrivare a contare 8.000 uomini, possono fare ben poco, presi come sono dal fuoco incrociato tra etiopi da una parte e milizie claniche dall'altra: ieri, nuovi combattimenti sono esplosi nella zona del palazzo presidenziale, colpita da proiettili di mortaio a cui i soldati etiopi avrebbero risposto, secondo testimoni oculari, sparando indiscriminatamente sui civili. I morti sono almeno venti, i feriti molti di più. Gli ospedali della capitale ormai da settimane non riescono a far fronte all'emergenza. Le Nazioni Unite hanno reso noto che serviranno almeno 260 milioni di dollari per assistere i civili, ma senza la cooperazione delle autorità somale gli aiuti non potranno mai giungere a destinazione. Matteo Fagotto PeaceReporter

03 aprile 2007

Quattrocento morti in quattro giorni


Viaggio a Mogadiscio: un reportage per l'Unicef

Non c'è pace per Mogadiscio, sconvolta la scorsa settimana da quattro giorni di violenze che, secondo una locale organizzazione per i diritti umani, avrebbero provocato quasi quattrocento vittime solo tra i civili. “La stima non include miliziani e soldati somalo-etiopi, quindi i morti reali sono molti di più - secondo il giornalista somalo Abukar Albadri, residente in città - Ora la situazione è calma, ma gli scontri potrebbero riprendere”. E con l'alleanza non ufficiale tra miliziani e uomini delle Corti islamiche, la situazione peggiorerà ancora. PeaceReporter

20 febbraio 2007

Caos a Mogadiscio

Mogadiscio è in preda al caos e la paura sta crescendo tra la popolazione. Migliaia di persone fuggono dalla città a causa dei ripetuti attacchi quotidiani. Nell'ultima notte, almeno 15 civili sono morti e altri 50 sono rimasti feriti nel peggior attacco lanciato contro le forze di sicurezza somale ed etiopi dalla fine dello scorso anno. «Tutti lasciano la città perché nessuno ha più pietà della gente, né il governo, né gli aggressori», afferma un abitante poco prima di lasciare la capitale somala. Dopo una notte di paura, Mohamed Kheyre, residente nel quartiere meridionale di Wardhigley, ha deciso di fuggire con la sua famiglia verso Afgoye, 20 chilometri a ovest della capitale. Molti abitanti dello stesso quartiere hanno deciso di fare altrettanto. Gli attacchi a colpi di mortaio sono diventati nelle ultime settimane quasi quotidiani, attribuiti dal governo di transizione somalo ai miliziani islamici. L’esecutivo stima siano 3.000 i miliziani ancora attivi e armati in città, mentre sono diverse decine le vittime, soprattutto civili, di questi attacchi lanciati all’indomani della fuga delle Corti islamiche, alla fine di dicembre, di fronte all’avanzata delle truppe etiopi.

10 gennaio 2007

Bombardamenti americani

Per la prima volta dopo la disastrosa ritirata del '94, gli Usa tornano militarmente sul teatro somalo. Una serie di pesanti bombardamenti con aerei (almeno due, ma forse tre, da domenicai) ed elicotteri nell'estremo Sud del paese, quasi a cavallo dei confini keniani: l'ultimo bastione degli islamici somali, ormai allo sbando. Il bilancio appare molto pesante: almeno una quarantina di morti (stima molto prudente, quanto ufficiosa), e moltissimi feriti. Sembra che la maggioranza delle vittime siano civili.Coro di critiche da tutto il mondo all'iniziativa individuale americana. Ansa Perchè non sono d'accordo