21 febbraio 2006

Khalid



Se sto in Somalia la colpa (o il merito) e’ di Khalid. Quando a Lampedusa quegli occhi disperati di donne e bambini mi hanno spinto a visitare un Paese abbandonato da troppo tempo, il primo contatto e’ stato con lui. Ha ventitre’ anni, da dieci vive a Roma, a San Lorenzo, vicino all’Universita’ dove studia medicina. Khalid ha dieci fratelli. Stanno tutti in Europa, ci stanno anche i genitori. Oggi mi ha portato nella citta’ vecchia. Non e’ stato facile. La trattativa con il capo che comanda la zona, quello che chiamano “il colonnello” e’ stata lunga. Alla fine abbiamo avuto a disposizione solo pochi minuti. Il quartiere e’ devastato dai combattimenti: quelli ai tempi di Siad Barre e poi quelli per spodestare Aidid. Non ci vive piu’ nessuno. Khalid ha scelto di visitare la sua scuola, che adesso e’ un cumulo di macerie. E’ entrato in quella che era la sua aula delle elementari, e poi la sua aula delle scuole medie. Era commosso. “Vedi, adesso io tornero’ con te a Roma, ma il cuore restera’ per sempre qui. Spero solo un giorno di tornare e di ritrovare la mia scuola ricostruita. Ma temo che ci vorra’ ancora molto tempo. E anche se sono giovane forse non faro’ in tempo a vedere la Somalia in pace”.

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