26 dicembre 2007

Sequestro lampo di due spagnole

Due spagnole, che lavorano con l'organizzazione umanitaria internazionale Medici senza frontiere (Msf) sono state rapite oggi nel Puntland, nel nord della Somalia. Lo hanno detto il loro autista e un funzionario locale. Il rapimento dovrebbe concludersi rapidamente dal momento che, a detta dell'ambasciatore spagnolo a Nairobi, i rapitori si sono già arresi e "stanno chiedendo che gli venga garantita l'incolumità". Le due donne rapite sono il medico spagnolo Mercedes Garc¡a e l'infermiera argentina Pilar Bouza. "Stavo portando le due donne all'ospedale locale, quando sei uomini armati di pistole si sono avvicinati, bloccando la strada", ha detto l'autista somalo, che ha chiesto l'anonimato. "Mi hanno colpito molto duramente e hanno rapito le donne portandole via con la loro automobile", ha aggiunto. Il rapimento, nel porto di Bosasso, è avvenuto due giorni dopo che un gruppo armato del Puntland ha rilasciato il giornalista francese Gwen LeGouil, rapito e tenuto in ostaggio per otto giorni per ottenere un riscatto di 80.000 dollari.

17 dicembre 2007

Rapito giornalista francese

Un giornalista televisivo francese è stato rapito ieri da sconosciuti nella città portuale di Bosaso, capitale economica di questa regione semi-autonoma e separata dal resto della Somalia (così come il Somaliland) dalla caduta del regime di Siad Barre nel 1991. Gwen Le Gouil era da un giorno in città e avrebbe dovuto girare un servizio sul traffico illegale di migranti tra la Somalia e lo Yemen per “Arte” la rete televisiva per la quale lavora. Bosaso è da tempo uno dei principali punti di passaggio del traffico clandestino di esseri umani tra il Corno d'Africa e le coste della penisola arabica.

Il Ministero degli Esteri francese ha confermato la liberazione, avvenuta oggi, di Gwen Le Gouil, il giornalista francese rapito in Somalia lo scorso 16 dicembre. Per la liberazione - precisano da Parigi - non e' stato pagato alcun riscatto. Un portavoce del Ministero ha ringraziato le autorita' regionali del Puntland, "e in particolare il presidente Mohamud Muse Hersi" per la collaborazione prestata nella liberazione di Le Gouil.

Quella strage dimenticata

Quel giorno finì l'illusione delle missioni di pace: anche gli 'italiani, brava gente' capirono che si poteva combattere. E morire. Ma quel giorno secondo molti nacque anche la prassi della diplomazia parallela in zona di guerra, ossia l'abitudine a trattare anche con chi ci spara addosso. Insomma, quel giorno a Mogadiscio cambiarono tante cose che varrebbe la pena di ricordare, studiare, analizzare. Anche per non ripetere oggi gli stessi errori in Afghanistan, in Libano o in Kosovo. Eppure è stato tutto dimenticato.Adesso History Channel ripercorre la battaglia del Check point Pasta, mettendo in evidenza con testimonianze e filmati inediti gli aspetti più controversi di quella drammatica mattina del 2 luglio 1993. Quando anche i caschi blu italiani furono costretti ad aprire il fuoco sulla folla. La ricostruzione diretta da Andrea Bettinetti andrà in onda il 21 dicembre. Sembra una replica di 'Black Hawk Down', il film sull'operazione che provocò il ritiro degli Usa dalla Somalia. Anche i nostri militari si ritrovarono intrappolati nel labirinto di Mogadiscio e dovettero lottare per portare in salvo i feriti, ben 22. Ricorda Fabio Tirollo, giovane sottotenente alla guida di un autoblindo: "Un capitano della Folgore mi puntò il mitra: 'Carica questi due parà feriti e sfonda le barricate'. Risposi che l'ordine era di non muoversi. Lui disse: 'I casi sono due: o li porti in salvo o ti sparo'". Le immagini dei due parà insanguinati hanno fatto il giro del mondo. Meno note quelle dei loro commilitoni che all'inizio degli scontri prima sparano in aria, poi abbassano il tiro fino ad altezza d'uomo. Con lo stupore per quella battaglia imprevista. L'Espresso

11 dicembre 2007

Espulsi ventiquattro giornalisti

“Le autorità hanno posticipato di cinque giorni la nostra espulsione, dopo averci detto in un primo momento che dovevamo andarcene entro 24 ore. Adesso siamo ancora ad Hargeisa (capitale del Somaliland, ndr) ma il provvedimento resta attivo”. Lo ha detto alla MISNA uno dei 24 giornalisti su cui pende un decreto di allontanamento emesso dal governo del Somaliland, regione semiautonoma del nord della Somalia, in cui i cronisti avevano cercato riparo dopo essere sfuggiti alle violenze e alle minacce subite nella capitale. “Per molti di noi, tornare a Mogadiscio in questo momento comporta altissimi rischi” ha aggiunto l’uomo, chiedendo di rimanere anonimo per questioni di sicurezza. L’Unione nazionale dei giornalisti somali (Nusoj) ha criticato le autorità del Somaliland, che si sono giustificate con il fatto che “i giornalisti in questione mettevano a rischio la stabilità del Somaliland”. Condanne in proposito sono state espresse anche dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), con sede a New York, che ha ricordato che “se il Somaliland vuole diventare un territorio autonomo riconosciuto dalla comunità internazionale, deve aderire ai principi di protezione e salvaguardia dei diritti umani”. Il Cpj accusa inoltre il Somaliland di aver “punito” i giornalisti espulsi, per aver riportato notizie delle violenze commesse dalle truppe etiopi presenti sul territorio somalo in sostegno al governo di transizione di Mogadiscio, mettendo a rischio le ottime relazioni che il Somaliland intrattiene con Addis Abeba. La Somalia, le cui autorità hanno imposto di recente una forte stretta agli organi di stampa, ha assistito nel 2007 all’assassinio di 8 giornalisti, diventando secondo le associazioni per la libertà di stampa “la regione più pericolosa per gli operatori dell’informazione dopo l’Iraq”. Nelle scorse settimane, il sindaco di Mogadiscio, Mohammed Dhere, ha diffuso un “regolamento” per i media che proibisce di riferire, senza permesso, dei combattimenti e delle operazioni militari in corso nella capitale somala o di intervistare esponenti dell’opposizione al governo.

04 dicembre 2007

Le suore costrette a fuggire

“La situazione è così difficile che non posso dire quando e se torneremo”: così, in una nota giunta oggi alla Misna, Ahmed Ibrahim, direttore del Villaggio per bambini ‘Sos Children’, annuncia la chiusura temporanea del complesso, un villaggio e un ospedale pediatrico, situato nella zona nord di Mogadiscio, colpito ieri, ancora una volta, dai bombardamenti delle forze governative. Le famiglie che vivevano all’interno della struttura, gestita per anni dalle suore missionarie della Consolata, hanno cominciato a lasciare oggi il ‘villaggio’ dopo che i “massicci bombardamenti” hanno causato la morte di una donna e il ferimento, grave, di altre quattro persone, inclusi tre operatori che lavoravano all’ospedale. Misna



Le ho conosciute, sono entrato in quell'ospedale pieno di donne e bambini, ho visto quanto erano amate e soprattutto quanto erano utili. Perdere loro significa per la Somalia un altro grande passo indietro sulla strada della speranza. Un brutto colpo per chi ancora crede nella pace. Se sono costrette a fuggire loro, eroine coraggiose, significa che non ci sono più margini per vivere civilmente. Dentro l'ospedale somalo

03 dicembre 2007

Giornalisti tra due fuochi


Oggi, l'Unione Nazionale dei Giornalisti Somali ha rivolto al nuovo premier, Nur Adde, un appello perché tuteli l'attività dei reporter somali. Dall'inizio dell'anno, sono otto i giornalisti somali uccisi mentre svolgevano il loro lavoro. Un numero che, secondo i dati di Reporter Senza Frontiere, fa della Somalia il secondo Paese più pericoloso al mondo per i giornalisti, dopo l'Iraq. E per gli otto che sono morti, decine di altri sono dovuti fuggire a causa delle minacce, mentre emittenti radiofoniche e testate vengono periodicamente chiuse dalle autorità. PeaceReporter pubblica le testimonianze di tre giornalisti somali, contattati durante un reportage del nostro inviato in Kenya e Somalia.

Ilaria Alpi, le indagini proseguono

Sull'omicidio di Ilaria Alpi non cala il sipario. Il giudice dell'udienza preliminare, Emanuele Cersosimo, ha infatti respinto la richiesta con la quale la Procura della Repubblica di Roma aveva chiesto l'archiviazione del procedimento riguardante la morte della giornalista della Rai uccisa in Somalia. La decisione è stata presa in accoglimento dell'opposizione fatta dai genitori di Ilaria Alpi, assistiti dall'avvocato D'Amati. Questi avevano sollecitato lo svolgimento di ulteriori accertamenti anche sulla base degli elementi raccolti dalla commissione parlamentare d'inchiesta. Concessi altri sei mesi di tempo per ulteriori indagini. Secondo il gip , Alpi e Hrovatin, alla luce degli elementi emersi, potrebbero essere stati uccisi per impedire che le notizie da loro raccolte «sui traffici di armi e di rifiuti tossici avvenuti tra l'Italia e la Somalia venissero a conoscenza dell'opinione pubblica italiana»