29 novembre 2007

Tentare la strada del dialogo

Sicurezza nazionale, soluzione dei conflitti, assistenza umanitaria, il tutto privilegiando la strada del dialogo con l'opposizione: queste le chiavi di volta della strategia del nuovo primo ministro somalo, Nur Hassan Hussein, noto come Nur Adde. "Bisogna tener conto - spiega in un'intervista esclusiva concessa all'Ansa (il dialogo si è svolto in italiano) nella sua residenza di Baidoa, 245 km a nord ovest di Mogadiscio - che siamo in guerra civile da oltre 17 anni, da quando fu rovesciato Siad Barre.

Una guerra che ha distrutto tutto, fino al punto di annichilire anche i valori morali. Ed è forse proprio dalla ricostruzione di questi ultimi, dalle fondamenta civili, insomma, che bisogna ripartire". Quanto alla strada maestra, il premier è preciso: "Inseguire con ogni mezzo quanto possa aiutare la pacificazione, scegliendo il dialogo e sperando che ci porti ad una soluzione; ma tutto ciò nell'ambito del ristabilimento di ordine e sicurezza che consenta la soluzione dei conflitti. Ma, ripeto, contiamo di arrivarci col dialogo, di raggiungere così la sicurezza nazionale, l'accesso agli aiuti umanitari, e la soluzione dei problemi più urgenti. Certo, la loro stratificazione dovuta a 17 anni di guerra civile è enorme". -Ma ciò significa che intende dialogare anche con i terroristi islamici che sembrano sempre più presenti e forti a Mogadiscio? "La parola terroristi non mi appartiene: io parlo di opposizione e di insorti. E con loro le porte del dialogo sono aperte: i somali sono somali, e tutti quelli che vogliono il bene della Somalia saranno i benvenuti, non escluderemo nessuno, le nostre porte saranno sempre aperte".

Qualche piccola perplessità, poi, da parte di Nur Adde sull'attuale ruolo dell'Italia rispetto ai problemi somali: "Certo -dice- il ruolo svolto dall'Italia è stato molto utile, però occorre che si facciano passi in avanti. Ciò anche considerando il livello delle attese della Somalia dati gli storici e stretti vincoli di amicizia e collaborazione che hanno legato i nostri due Paesi per lunghissimi anni. Insomma, penso che l'Italia debba fare un ulteriore sforzo per rilanciare il suo ruolo così come si attendono governo e popolo somalo. Peraltro -aggiunge- ho appena ricevuto una lettera di Romano Prodi che mi dà speranze in tal senso". L'intervista finisce quando Nur Adde è informato che il presidente, Abdullahi Yusuf, che lo ha incaricato lo scorso 21 novembre, dopo un lungo braccio di ferro col predecessore, Ali Gedi, lo attende. Bisogna mettere a punto la lista del governo: non sarà facile, anche se è prevista in settimana. Poi, presumibilmente, un nuovo plebiscito del parlamento, cone quello che ha approvato l'investitura del nuovo premier. Ma, infine, la sostanza non cambia.

Le nobili dichiarazioni del premier appaiono un po' come la famosa frase di Martin Luther King: 'I have a dream''. Sì, un bel sogno. Perché la realtà è che Baidoa - già bellissima città, quasi completamente distrutta da numerosi conflitti di cui è stata epicentro - appare in stato d'assedio. Enorme il numero dei soldati schierati lungo le strade, anche molti etiopici; check point ogni dieci metri, e malgrado ciò non rari gli attacchi contro i posti di polizia. A Baidoa, peraltro, anche se sempre rimasta la sede del Parlamento etiopico, ora sono tornati presidente e premier, costretti alla fuga dai combattimenti a Mogadiscio. E la gente comune, disperata, ha poche speranze che il nuovo primo ministro possa davvero cambiare la situazione, tragica, e che si fa sempre più pesante anche per Baidoa.

A tutti appare chiaro che chi ha nelle mani le chiavi del potere resta il presidente, e con lui difficilmente cambiamenti morbidi potranno avvenire. Questa, almeno, la sensazione che si può avere bevendo con altri avventori un buon espresso sulla main road di Baidoa, piena ancora di scritte in italiano: come 'gommista' o 'ricambi auto Torino'. Mentre la situazione umanitaria è drammatica. Oltre quindicimila i profughi censiti 'ufficialmente' nei campi di raccolta. Ma in generale circa 40.000. Operano sette agenzie umanitarie Onu, e quattro Ong. La principale, la Caritas, ha un piccolo ospedale dove riesce ad effettuare 120 consultazioni al giorno, oltre a una quarantina di piccoli interventi. La gente si mette in fila la notte, dice uno dei responsabili del centro, diamo loro qualcosa su cui riposare, e per proteggersi dalla pioggia. Ma quello che possiamo fare è poco: non ci sono ospedali, il più vicino è a Mogadiscio: arrivarci quasi impossibile, ed i nosocomi sono pieni.

23 novembre 2007

L'inferno Mogadiscio


Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaeda in Africa, la Somalia precipita sempre di più nel dramma. Una settimana fa, infatti, dall'Etiopia sono arrivati altri 20 mila uomini e 52 carri armati con un ordine semplice: fare una strage. Comincia da qui il viaggio nell'inferno della Somalia, paese senza pace, dove centinaia di conflitti sono stati coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni. I militari del presidente provvisorio sono alla fame, i civili allo stremo (quattromila i morti nel 2007): donne, bambini e vecchi scappano a piedi. Un popolo in fuga dalla capitale e che si rifugia nelle tendopoli. Sperando nell'aiuto della Comunità internazionale. Repubblica.it Le foto

Un popolo in fuga


La Somalia è di nuovo sconvolta da una catastrofe umanitaria. Mentre le forze governative, appoggiate da reparti dell’esercito etiopico, stanno rastrellando interi quartieri della capitale per snidare gli insorti che ancora vi sono asserragliati, da quattro giorni è cominciato un esodo biblico. Il mercato di Bakara, il cuore di Mogadiscio una volta affollatissimo dove gli insorti hanno tenuto le loro posizioni fino a ieri mattina, nel pomeriggio era deserto. Negozi chiusi e bancarelle distrutte dalla battaglia. Palazzine con i muri crivellati dai proiettili. Per strada solo qualche carretto carico di vettovaglie spinto a mano da intere famiglie che abbandonano la capitale. Corriere.it

01 novembre 2007

Vivere sotto le bombe


Mogadiscio, oggi.

Ancora i pirati in azione


Pirati all'abbordaggio, equipaggi che si ribellano e respingono i corsari, unità dell'Us Navy in azione per fermare gli assalti. Le acque al largo della Somalia sono sempre più insicure: almeno 4 mercantili sono stati catturati dalle bande di pirati, armati di fucili e lanciagranate, che partono dalla costa a bordo di veloci motoscafi. Drammatici gli ultimi sviluppi. Una nave nord coreana che trasportava zucchero è stata intercettata da una piccola gang di corsari a bordo di alcune battelli a motore. Otto banditi sono saliti a bordo ma sono stati sopraffatti dall'equipaggio – 22 uomini – e respinti. Il comandante ha quindi ripreso la rotta, dirigendosi verso il porto di Mogadiscio. Spesso per difendersi, i marinai utilizzano potenti idranti "sparati" contro i corsari.Poche ore prima un portacontainer giapponese, il Golden Mori, è stato intercettato da uno "sciame" di motoscafi pirati al largo di Socotra. Il capitano ha lanciato un messaggio di soccorso raccolto da una nave della Marina Usa in servizio nella zona. La "Uss Porter" è intervenuta aprendo il fuoco: almeno due battelli pirati sarebbero stati affondati. Malgrado l'azione dell'unità americana, i corsari sono riusciti a fuggire dirottando il portacontainer verso un loro covo. Una seconda nave statunitense, la "Burke", è stata autorizzata dalle autorità di Mogadiscio a entrare nelle acque territoriali per inseguire i pirati. Un recente rapporto ha rivelato un incremento degli abbordaggi al largo della Somalia: si è passati da otto assalti a ventisei. Secondo informazioni di intelligence nella zona operano almeno cinque bande di corsari che sono cresciute in uomini e mezzi grazie alla situazione di instabilità in Somalia. I banditi vanno a caccia dei mercantili che si avvicinano alle coste o ai cargo che trasportano aiuti umanitari verso Mogadiscio. Le "prede" vengono rilasciate solo dopo il pagamento di un congruo riscatto. In seguito al ripetersi delle scorrerie, il "World Food Program" ha dovuto sospendere l’invio di derrate alimentari verso la Somalia. Corriere.it